Sono nata nel 1985, molto tempo dopo le pietre miliari del rock, appena dopo il post-punk e poco prima della furia distruttrice del Grunge.
Il 1985 è stato l’anno di dischi importanti ma non da Top of The Pops. Dischi che hanno detto quello che dovevano con l’urgenza scintillante tipica degli anni ’80 ma poi rimasti sulle pagine delle classifiche quasi timidamente, ad occupare il proprio posto nel mondo senza sgomitare i vicini delle decadi più fortunate. Fatta eccezione forse per Rain Dog di Waits, il 1985 fu l’anno dei dischi di passaggio: Psychocandy dei Jesus and Mary Chain, Meat is Murder degli Smiths, New Day Rising degli Husker Du, The Head on the door dei Cure sono tutte testimonianze di piccole scivolate, cadute, svisate verso qualcosa di più grande.
A metà degli anni ’80 fu chiaro che il meglio non stava per arrivare ma che qualcosa stava per cambiare. Il punk inglese aveva scalzato ogni idea di meritocrazia dando spazio alle stravaganze delle sottoculture. La musica diventò espressione dell’essere umano e in quanto tale interessante di per sè.
La mia generazione è cresciuta con l’ottimismo degli anni ’90 e con un occhio sempre puntato dietro le spalle, quasi a voler scongiurare il ritorno dei fantasmi del passato, insegnanti bipolari di un mondo ormai perduto. La nostalgia ha riempito le casse degli stereo fino a quando la rivoluzione digitale ha sconvolto ogni equilibrio dimensionale di tempo e di genere. Senza i canali canonici del disco e del concerto tutto è ugualmente possibile. La scena non è di chi la merita ma di chi la vuole e, come al mercato, bisogna affondare le mani nei panni sporchi degli altri per trovare la camicia giusta sotto una massa di stracci colorati. In questo rimbalzare continuo di scoperte sonore e immagini fuorvianti qualcosa rimane e qualcosa è destinato a scivolare negli scarti delle pagine web. La necessità di tenere traccia dei tesori in cui ci imbattiamo diventa sempre più forte, il legame con il passato diventa un archivio da approfondire, magari un altro giorno.
(Non per niente il giornalismo musicale ebbe il suo culmine alla fine degli anni ’70, quando divenne chiaro che gruppi come i Beatles e i Led Zeppelin non ci sarebbero più stati. La ricerca è iniziata dopo la perdita dell’Eden musicale di quegli anni e continua tutt’ora. E continuerà fino a quando il mondo sarà pieno di orecchie).
Per questo nasce 7Tracks: tracce musicali, articoli, recensioni, interviste che ruotano settimana dopo settimana per catturare quello che merita di essere salvato dalle classifiche di oggi, di ieri e di domani.
Perchè 7? Ah, questa è un’altra storia 🙂 …
Martina Tiberti
Ottima iniziativa, complimenti e in bocca al lupo! 🙂