Intervista ad Angelo Branduardi .

Eventi cancellati, serrande abbassate, e poi, silenzio. I concerti sono un’eco della memoria, gli spettacoli teatrali la chimera di un continuo rinvio. Difficile riorganizzare o ripensare un settore che ha come prerogativa l’interazione con il pubblico e di questa nutre la propria ragion d’essere. Bisognerà aspettare, ognuno come meglio può, e poi? Cosa resterà di quello che conoscevamo, cosa avremo perso ma soprattutto, cosa avremo capito da questi mesi lunghissimi e difficili? Ne abbiamo parlato con un ospite d’eccezione, che ha fatto della musica e dello spettacolo non solo una professione ma anche un campo di ricerca umana e spirituale: Angelo Branduardi.
L’emergenza sanitaria ha messo in crisi molti aspetti del vivere comune, ha alzato barriere invisibili e alterato la percezione dell’altro. Questa situazione può servire a riscoprire la funzione dell’artista?
Spero e conto che sia così. Stiamo assistedo al solito imbuto natalizio nella vendita dei dischi, al quale in 50 anni di carriera io non mi sono mai sottoposto. Non ho fatto mai uscire un disco sotto Natale, lo evito sempre. Sicuramente questo periodo cambierà la musica. La musica è spiritualità, ma non lo dico io, è così dall’alba dei tempi. Il primo musicista era uno sciamano. La musica nasce legata più allo spirito che alla religione. Lo sciamano fa delle iniziazioni dolorose, mangia sassi e ingurgita altre cose, come si può vedere in un film straordinario che si chiama “Un uomo chiamato cavallo”. Lo sciamano che viene descritto nel film, ad esempio, ha una parte di suono primordiale e canta con la voce di Dio, e per imparare la voce di Dio è disposto a ingurgitare di tutto.
Può esserci una funzione della musica anche al di là dello spettacolo? Nei tuoi ultimi lavori c’è un legame forte tra spiritualità e ricerca, penso a “Il Cammino dell’Anima” e anche all’ultimo “Kyrie Eleison”, dove utilizzi dei testi sacri. Da dove nasce la vocazione per parlare di alcune storie?
Non ho la pretesa di paragonarmi a loro ma ho notato che grandi musicisti, nella musica classica e nel campo della musica popolare, ma anche artisti come Bob Marley, Leonard Cohen, Bob Dylan, Cat Stevens, hanno realizzato dischi importanti in età matura. In generale qualsiasi artista, quando fa arte, è assieme bambino, uomo e vecchio, e la capacità di far coesistere questi aspetti caratterizza il grande talento, ed è solo un dono. Sono 65 anni che suono, e ho conosciuto grandi talenti non solo in campo musicale. Ho incontrato persone meravigliose, oltre a mia moglie. Tra questi ricordo Franco Fortini, Pierpaolo Pasolini, Ennio Morricone, Federico Fellini. Molti di loro hanno realizzato qualcosa anche in vecchiaia, ma prima hanno attraversato le tre fasi fondamentali della vita, senza mai perdere di vista il bambino. Il bambino non sa cos’è la morte, l’adulto lo sa, ma sa che è lontana, il vecchio sa invece che si avvicina. Queste tre personalità, in me, generano ancora più spiritualità di quella che avevo già quando ero bambino e suonavo in Conservatorio. Ricordo un grande maestro, Augusto Silvestri, con cui mi sono formato e si sono formate generazioni di musicisti, fu il primo a spronarmi a “vedere” e non leggere la partitura. E io questo faccio, vedo. Vedo che cosa c’è nel Paradiso Terrestre, ad esempio.
Questo spiega anche il suo approccio fisico allo strumento.
Per Ennio Morricone, con cui ho suonato in tutto il mondo, il musicista ancora prima che nel suono, mostra la sua bravura nella gestualità. Io so di avere una gestualità strana, ma affascinante secondo alcuni. Durante il Conservatorio sono stato invitato a suonare andando in giro per la stanza. Venivo spronato a suonare mentre camminavo. Era bellissimo ed era il modo giusto.
È forse anche il suo segreto?
Può darsi, ma è un segreto di Pulcinella. Altri che come me hanno seguito i corsi di Augusto Silvestri sono diventati bravissimi musicisti. Io ho suonato musica classica fin da bambino, ma ho avuto la fortuna di trasferirmi in un quartiere di Milano pieno di grandi artisti. Lì ho fatto il salto di qualità, affiancandomi a grandi musicisti per cui suonavo e facevo il turnista. In poco tempo sono diventato primo violino, superando persone che avevano anche 50 anni più di me. Ho tanta polvere dietro le spalle, ed è quello che manca alle nuove generazioni.
In questo tempo di pandemia, passeremo le festività natalizie in modo più intimo. Hai un libro o un disco da consigliarci?
Tra gli artisti italiani, ci sono musicisti che partono dal mio stesso principio, pur avendo una musicalità diversa. Suggerisco Franco Battiato e Antonella Ruggiero, nella sua versione solista, non con i Matia Bazar. Il libro che suggerisco è Il Signore degli Anelli. Quando lo lessi L’Espresso lo aveva definito nazista, poi ci hanno fatto tre film per adulti e bambini. Lo consiglio fortemente. Se lo avete già letto, rileggetelo.
Lo scorso anno hai preparato il “Cammino dell’Anima” tour, poi interrotto causa Covid-19. Questo stop cosa ha significato?
Partiamo dalla parte positiva: sono riuscito a fare due concerti, uno a Bergamo e uno al Teatro Carosello. In entrambe le performance ci sono stati applausi a scena aperta. Io posso sopravvivere all’assenza di suono; anche se non suono da otto mesi non è un problema. Il vero problema non riguarda noi artisti, ma tutti coloro che lavorano per noi. In questo senso è una catastrofe. Gli artisti sono stati i primi a smettere e saranno gli ultimi a ricominciare. Bisogna considerare che gli artisti danno lavoro a una quantità inimmaginabile di persone, cominciando dalle case discografiche. Noi abbiamo perso decenni ad allevare dei tecnici. A loro chi ci pensa? All’inizio della mia carriera ho formato tecnici di Primavalle e li ho portati con me in giro per l’Europa. Tutti i miei tecnici non sapevano nulla di quello che facevano, lo facevano e basta e il risultato era quello che era. Oggi sono diventati impeccabili e preparatissimi ma sono fermi da talmente tanto tempo che, lavorativamente parlando, rischiamo di perderli. Questi professionisti garantiscono una qualità altissima ai concerti, ci mancheranno molto se al termine di questo stop forzato si saranno riorganizzati in un altro lavoro. Tutte queste persone hanno famiglie, a loro non è stato dato nulla. Ho la certezza di tornare a lavorare, oggi, solo con un tecnico che organizza dei concerti eccellenti. Con lui sicuramente tornerò a lavorare, ma non ho certezza di ritrovare gli altri. I lavoratori dello spettacolo sono casi umani quanto gli altri. Spero vivamente di tornare a lavorare con i miei tecnici, che montano e smontano palchi, attaccano cavi e da Primavalle sono arrivati a lavorare alla Filarmonica di Berlino, ancora ricordo la loro emozione. Spero che queste emozioni li terranno uniti nell’attesa di tornare a lavorare insieme.
A Piazza Duomo di recente c’è stata una manifestazione per la musica che ha rappresentato un vero e proprio grido di dolore. Cosa ne sarà di questi lavoratori? Perderemo tutte queste competenze?
C’erano anche i miei lavoratori in piazza. È stata una performance dolorosa. Come dicevo prima, ci sono tantissimi service che attualmente sono senza lavoro. Ci sarà una moria di capacità, perché molti non possono aspettare tutto questo tempo per tornare a lavorare, e ancora dovremo aspettare. Ripeto: loro non sono tecnici, sono dei bravissimi artigiani. Gli ingegneri del suono oggi afferrano la creatività in pieno. Non so cosa accadrà, ma nessuno ha aiutato l’arte e questo è drammatico.
Se si parla di lavoro, in Italia, non si pensa mai a chi lavora con la musica, nonostante questa faccia parte quotidianamente delle nostre vite. È stata una mancanza italiana non occuparsi di questi lavoratori durante l’emergenza Covid-19, o c’è di più?
Conosco i paesi dove vado a suonare, che sono tanti, ne cito due: Germania e Francia. Cosa hanno fatto e in che modalità non lo so, ma so che hanno fatto qualcosa. Voglio essere volutamente polemico, in Italia non si è fatto nulla e sono molto arrabbiato. Mi interessa poco di cosa si sia fatto in Europa: io partecipo attivamente alla vita del mio paese, e guardo a come vengono trattati i lavoratori dello spettacolo. Se questi vengono meno, non suono neanche io. Io non so attaccare neanche una spina, è la mia squadra che da sempre mi consente di fare concerti e ne garantisce la qualità.
In un’intervista a Repubblica hai dichiarato che “nei tour parte della scaletta è obbligata, così la gente esce felice. A cos’altro serve la musica”? Ecco, a che cosa serve la musica?
Come dicevo prima, la musica è nata insieme all’uomo. C’è una cosa straordinaria che caratterizza la musica, il suo essere da sempre strettamente legata alla vita quotidiana: c’era la musica per la nascita, per la morte, per i rapporti. Quindi uomo e musica erano una cosa sola. La grande rivoluzione si è verificata quando i musicisti sono iniziati a diventare virtuosi e hanno smesso di suonare nelle piazze, entrando nei palazzi dei nobili. I francesi proclamavano “l’art pour l’art”, che è un concetto romantico. Però abbiamo perduto una cosa di vista: a nessun africano, oggi, verrebbe in mente di andare a lavorare se non c’è un guadagno. In questo senso abbiamo fatto un passo in avanti e uno indietro. La musica è terapeutica, è gioia sfrenata, è sensuale e dà un senso di serenità. Per i popoli primitivi era magia e vita. Se si riesce a coinvolgere il pubblico, questi è in grado di “vedere”. Se l’artista riesce a donare una visione al pubblico, questo rappresenta il massimo della tranquillità. La musica non può essere una bomba, ma la miccia della bomba sì.
Cosa spera per il mondo della musica in un immediato futuro?
Speriamo di tornare a fare concerti dal vivo già in autunno, magari nei teatri. Mia figlia è andata alla Scala a sentire un violoncellista straordinario, Mischa Maisky. I palchi erano tutti vuoti. Per i posti a sedere veniva calcolata la distanza ai lati, avanti e dietro. La Scala di Milano può arrivare a contenere 2.200 posti, anche 2.500! Erano presenti 400 persone. Maisky nonostante l’abitudine a suonare non ha suonato al livello di quando un teatro è pieno, è stato uno spettacolo depressivo. Bisogna sperare di poter tornare a riempire presto i teatri.
di Martina Tiberti e Alessandro Terradura